PARROCCHIA SANT' ELIA
Parroco
P. Saverio Fabiano omi
P. Saverio Fabiano omi
ORARI UFFICIO PARROCO
Martedì 11-12 /19-20
Venerdì 19-20
Tel 348 454 5967
Mail fabiano.saverio@gmail.com
Vicario Parrocchiale
P. Gennaro Rosato omi
Tel 366 950 7006
Vicario Parrocchiale
Ivan Garro omi
Tel 327 157 2420
Collaboratore
P. Francesco Montesano omi
Segretaria
Carla Cassanello 3392643320. email cassanellocarla@gmail.com
ORARI INVERNALI SANTE MESSE
Giorni feriali
Parrocchia h. 18.00
Cappella Maria Regina della Pace h. 9.30 (dal martedì al venerdì)
Sabato
h.16,30 messa dei bambini (in Oratorio)
h. 18.00
Domenica
Parrocchia h. 8.30 - 10.30
Cappella Maria Regina della Pace h. 9.30
STORIA DEL QUARTIERE SANT'ELIA
Il quartiere Sant'Elia, il più meridionale della città, si estende a ridosso di un'area una volta paludosa, e vicino al faro omonimo.
La denominazione di quest’area della città di Cagliari trae origine dalla sovrapposizione del culto di due diversi santi di nome Elia.
La statua di Sant’Elia Profeta si trovava originariamente nella chiesa di Sant’Elia al Monte, sull’omonimo promontorio. Dopo la distruzione del tempio, fu trasferita dall’arcivescovo di Cagliari presso la chiesa della Madonna del Buon Cammino in Quartu Sant’Elena.
Intorno al IV secolo, infatti, sulle alture della zona visse un eremita e anacoreta sardo, di nome Elia. Fu martirizzato su questo colle durante le persecuzioni di Diocleziano, e i suoi resti furono seppelliti dalla popolazione locale sul promontorio che da allora portò il suo nome. In seguito fu costruito un edificio sacro per conservare i suoi resti, denominato Sant’Elia al Monte, attestato come proprietà dei monaci Vittorini dal 1089. Intorno al 1600 i resti di Sant'Elia Anacoreta furono interessati dalla ricerca dei corpi santi operata dall’Arcivescovo di Cagliari Francisco Desquivel, e ancora oggi si trovano conservati nella Cripta dei Martiri della Cattedrale di Cagliari. Oggi della chiesa di Sant’Elia al Monte rimangono solo ruderi, interessati in tempi recenti da alcuni scavi archeologici. (Maria Adele Ibba, Alfonso Stiglitz e Fabio Nieddu, Indagini archeologiche sul Capo Sant'Elia a Cagliari, in Quaderni, n. 28, 31 dicembre 2017, pp.353–386.)
In seguito, a partire dal XVI secolo si stabilirono presso l’area del promontorio di Sant’Elia Anacoreta alcuni membri della Congregazione Carmelitana, che decisero di intitolare il promontorio a Sant'Elia Profeta, personaggio biblico e principale ispiratore dell’ordine carmelitano. Fu allora che il culto per il profeta Elia soppiantò parzialmente quello per l’eremita sardo Elia. I carmelitani, temendo le incursioni saracene, lasciarono presto il promontorio per stabilirsi definitivamente presso Piazza del Carmine nel quartiere cagliaritano di Stampace, dove ancora oggi si trovano. Rimase però a testimonianza del loro passaggio la seconda intitolazione del promontorio al profeta Elia. (Promontorio della Sella del Diavolo ( I Luoghi del Cuore - FAI, su fondoambiente.it. )
Quartiere margine
Sant’Elia è, sin dalla sua nascita, “il quartiere-margine”, lo spazio sensibile, a rischio, pericoloso e difficile della città. Il suo isolamento geografico quasi conferma la “diversità” sociale della sua comunità storicamente composta da famiglie assegnatarie di alloggi di edilizia pubblica. In maniera un po’ sempre discriminatoria la comunità di residenti è stata considerata spesso come formata in maniera compatta e omogenea da uno strato sociale “difficile” in grado di esprimere soprattutto bisogni primari e comportamenti reprimibili.
Localizzato fra le pendici del colle di Sant’Ignazio ad est, il mare a sud e ad ovest, circondato da insediamenti militari e da caserme, separato dal resto del tessuto urbano verso nord-ovest da infrastrutture pubbliche imponenti, e a nord da una strada a scorrimento veloce, Sant’Elia conta appena due vie di accesso e la separazione fisica dal resto della città è causa evidente quanto determinante della consapevolezza di trovarsi al margine della città di Cagliari.
Margine quartiere
Ma Sant’Elia non è solamente margine-sociale e geografico, il quartiere si compone anche della singolare composizione del suo sito che mescola la dolcezza romantica del borgo vecchio con le forme squadrate e moderniste del suo edificato in molte parti degradato, la brillantezza del mare e la pacata sonnolenza del monte alle sue spalle. Sant’Elia è la forma della sua vita quotidiana vivace, comunitaria e che integra, risana e diluisce le difficoltà di un contesto economico e sociale sintetizzato da alti tassi di disoccupazione, di reati, di bassa scolarizzazione ecc. Nel bene e nel male, Sant’Elia è uno spazio emblematico, conflittuale e contrastivo, sintesi della matrice popolare appoggiata alla bellezza esaltante della natura squisitamente urbana; è lo spazio simbolo della rigida durezza dei suoi grandi palazzoni in cemento armato che pure non cancella la cortese familiarità del borgo più antico; è il luogo di emersione della frattura invariabile tra la vita quotidiana della società cittadina e la complessità delle politiche sociali e urbane. Anche per agevolare la comprensione delle altre parti di questo web-documentario, riassumiamo rapidamente la storia (anche urbanistica) di un quartiere famoso e famigerato, amato e temuto, oggetto del desiderio quanto soggetto della diffidenza da parte dei cagliaritani e non solo.
La fondazione
Cagliari esce dalla Seconda guerra mondiale profondamente ferita dai bombardamenti alleati. La città è segnata nella sua struttura e nella sua società: diversi quartieri sono distrutti e numerosi sono i baraccamenti. Come in tante altre città europee, anche a Cagliari si presentano i problemi legati alla ricostruzione: al ritorno degli sfollati si sommano coloro che hanno perso la casa e i nuovi migranti che dalle campagne in crisi muovono verso la città. Ricostruzione, speranze, ma anche crescita economica, speculazione fondiaria e immobiliare compongono un quadro critico e instabile.
Gli spazi urbani sono occupati abusivamente un po’ dappertutto e, in particolare, nelle aree periurbane in prossimità della penisola orientale di Sant’Elia. Alcune famiglie trovano rifugio nelle grotte sui colli di Bonaria e di Sant’Ignazio; un gruppo nutrito di senza casa occupa l’edificio del Lazzaretto (originario del XVII secolo) in cui già viveva una piccola comunità di pescatori. Ristrutturato nel 1835, il vecchio edificio – che nel corso della sua storia aveva accolto marinari e viaggiatori in quarantena – diventa uno spazio di promiscuità e condizioni precarie, sia dal punto di vista igienico che sociale ed economico.
L’edificazione del primo nucleo abitativo di Sant’Elia negli anni fra il 1951 e 1956, che diventerà in seguito Borgo Vecchio, è dovuta alla necessità di risolvere la questione del Lazzaretto ed è favorita dalla legge nazionale del 1949 INA-Casa. Ma la nascita del Borgo è anche testimonianza delle logiche che governavano la ricostruzione e la ridefinizione dello zoning fondiario della città nel suo insieme. La Sant’Elia urbana nasce come «zona rifugio» dove confinare gli strati più popolari della società cittadina e poter riservare le aree più centrali alla richiesta dei ceti medi per «epurare le aree del centro di un certo tipo di abitanti, demolire i vecchi alloggi e lanciare dei programmi di urbanizzazione intensiva» (Selis, G.M. (1975), Produzione e consumo di sottoproletariato. Un ghetto urbano in Sardegna. Il Borgo S. Elia a Cagliari, Edizioni della Torre, p. 34). Il processo di crescita di Cagliari si combina alla fragilità della normativa urbanistica e ad una visione globale speculativa della pianificazione, espressione di razionalità separatrici, segregative ed esclusive.
Borgo-Periferia
Nei 512 alloggi delle 85 palazzine che formano il Borgo Vecchio trovarono alloggio 470 famiglie (circa 2.350 persone), confinate in una zona semi abbandonata, carente in servizi, priva di scuole, senza vie di circolazione interna né giardini, sprovvista di connessioni adeguate con il resto della città. Le case furono attribuite a famiglie di senzatetto accomunate – secondo un osservatore dell’epoca – dalla loro appartenenza al «sottomondo cittadino [che aveva alimentato] la malavita e la prostituzione in città» (Musio G. (1965), Primi rilievi sulla fisionomia psicosociale del villaggio-satellite del S. Elia in Cagliari a dieci anni dalla sua costruzione, ciclostilato, Cagliari, p. 31). Con la fondazione di Sant’Elia Cagliari si dota di una prima periferia povera che assimila e incorpora le classi del sottoproletariato segregato, anche, sul piano spaziale. Molti “ostacoli urbani” separano e escludono Sant’Elia dal resto della città: le grandi caserme che dividono dai vicini quartieri dalle classi medie; e poi, lo stadio cittadino, il complesso sportivo, la fiera e, ancora più tardi, l’Asse Mediano di scorrimento.
Consolidamento e presa di coscienza
Lungo gli anni Settanta si accelera la fase di crescita della città di Cagliari accompagnata dalle crisi di natura sociale ed economica oltre che abitativa. Sono gli anni che porteranno alla nascita di numerosi Comitati di quartiere che rivendicheranno (tra l’altro) l’offerta di servizi e l’edificazione di nuove case popolari per soddisfare una domanda sempre più consistente. Il conflitto politico con i poteri pubblici e i comitati (che spingevano verso l’esproprio delle aree peri-centrali per l’edificazione di nuovi alloggi popolari) si risolverà nell’edificazioni a forma di barra del complesso del Favero (dal nome dell’impresa edile che lo costruì) e completato tra il 1975 e il 1978 in una operazione edilizia di rilievo nazionale, finanziata dalle leggi 167 del 1962 e n. 865 del 1971 istitutive dell’edificazione dei quartieri popolari più emblematici (e problematici) delle città italiane: la Romanina a Roma, Scampia a Napoli, lo Zen di Palermo, ecc.
una prima bozza del profilo di sant’Elia nel prospetto, del 1973, degli ingegneri L . Deplano e G. Sgualdini. Evidente la relazione con l’architettura modernista di Le Corbusier e della Carta di Atene. Fonte: http://urbancenter.eu/2013/03/18/il-piano-citta-per-sant-elia/
I palazzoni
Il complesso del Favero, ispirato al modello delle Unités d’habitation di Le Corbusier, è formato da quattordici blocchi posti intorno a tre piazze con i toponomi (poco fantasiosi) delle imprese che li edificarono: Demuro, Falchi e Lao Silesu. I 1.256 alloggi gestititi dall’Istituto Autonomo Case popolari (IACP) furono attribuiti nel 1979 a famiglie di diversa origine: giovani nuclei originari del Borgo Vecchio (circa 1.200 persone), ultimi occupanti dell’edificio del Lazzaretto e nuovi arrivati. La costruzione del Favero rappresenta una trasformazione radicale del quartiere che si può riassumere attraverso tre aspetti: - Lontananza. La distanza fra il Borgo Vecchio e il Favero, di circa 700 metri, rappresenta una seconda frattura per un quartiere già isolato e rende difficili le relazioni di vicinato fra le due entità. - Rischio di dissoluzione della comunità di vicinato. Con l’edificazione di un nuovo complesso abitativo, il quartiere perde la sua unità identitaria, fondata sul nome di Sant’Elia: è chiamato generalmente “il Favero”, all’interno del quartiere sono “I palazzoni” o il “Borgo nuovo”; per molti altri in maniera stigmatizzante diventano il Bronx o la Casbah. - Discontinuità del modello architettonico e abitativo. Il gigantismo architettonico del Favero rappresenta la negazione del modello dei piccoli edifici del Borgo Vecchio e, dal punto di vista paesaggistico e socio-urbanistico, obbliga i residenti a un modo di vita e a un adattamento al labirinto di questa “casbah verticale”.
Planimetria P.E.E.P. Piani per l’Edilizia Economica e Popolare di Sant’Elia – Istituto Autonomo Case Popolari. Fonte: http://urbancenter.eu/2013/03/18/il-piano-citta-per-sant-elia/
L’espansione
Nel corso dei due decenni Ottanta e Novanta, il quartiere vive una ulteriore fase di espansione e di consolidamento, con l’edificazione di 1.500 nuovi alloggi destinati ad accogliere una popolazione di 6.000 abitanti, distribuiti nei nuovi complessi denominati Le Lame (edificati fra 1984e 1988, per un totale di 433 alloggi), Le Torri (1980-1999, per 460 alloggi) e Gli Anelli (1984-2000 per 342 alloggi). Questa terza fase di crescita importante degli abitanti (da 3.000 a 9.000) consacra il quartiere come lo spazio “problematico” della città, difficile, pericoloso, rischioso… e, contestualmente, produce la maturazione della comunità di Sant’Elia che assume una coscienza collettiva e riconosce gli svantaggi, inconvenienti, i limiti, come i possibili, eventuali vantaggi di abitare un quartiere marginale, costiero, e di rappresentare una componente specifica, radicata e importante della società urbana di Cagliari.
La riqualificazione (1996-2012)
A partire dalla seconda metà del decennio Novanta, l’elaborazione e la l’attuazione di nuovi programmi nazionali e di altre iniziative modificheranno l’approccio degli attori pubblici rispetto agli interventi destinati al quartiere. Si tratta di un approccio che traduce l’evoluzione delle modalità di azione sulle periferie e sull’alloggio popolare in Italia e che avrebbe dovuto avere conseguenze importanti su Sant’Elia, soprattutto nella prospettiva di rottura dell’isolamento e verso una riarticolazione o di “inclusione” del quartiere alla città. La tabella sintetizza le iniziative in sette principali ambiti d’intervento che esplicitano la continuità, l’evoluzione, ma anche la “rottura” dei diversi approcci (vedi tabella). Anche se non è facile ricostruire la periodizzazione di tali interventi, dal momento che la maggior parte di quest’ultimi non sono conclusi o restano “aperti” anche se solo allo stato di progetto. Si tratta d’interventi che, in linea di principio, avrebbero dovuto essere connessi tra loro ma che lo sono solo in parte. In essi si possono leggere due approcci principali: quelli che esplicitano una priorità sociale e “comunitaria”, e quelli che esplicitano una priorità urbanistica.
Nomi dei programmi
Data
Operazioni
Stato dei lavori
1
European IV
Giubileo del 2000
1996
Impianti per la città (Lazzaretto)
Dare centralità al quartiere
Creare un polo culturale di interconnessione
Progetti in gran parte realizzati
2
Contratto di quartiere I
1997/2000
Programma nazionale sperimentale di riqualificazione di aree urbane degradate
Programma parzialmente realizzato, poi interrotto
Contratto di quartiere II
2004/2008
Politiche sociali, sociabilità e nuove forme di aggregazione Ateliers di progetti partecipativi
Programma parzialmente realizzato,
non terminato,
in corso
3
Sistemazione del lungomare
2005
Legame spaziale tra città e quartiere
Realizzazione di alcune strutture: arena spettacoli, in funzione dal 2012
4
Accordo di programma RAS,
Comune di Cagliari,
Autorità portuale
2005/2006
Concorso internazionale del Museo del Betile
Concorso svolto,
progetto del Betile, abbandonato
5
Azione RAS + AREA
2006
Creazione AREA
Programma urbanistico sociale
(30 milioni €)
Non realizzato
6
Master Plan
2007/2008
Workshops Unica,
Polimi, OMA (Koolhass)
Master Plan elaborato, realizzato solo in parte
7
ZFU
2008
Creazione Zona franca urbana
Non realizzata
M. Memoli e R. Cattedra, 2014, op.cit. “Un « contre-lieu » d’urbanité marginale. L’exemple du quartier de Sant’Elia (Cagliari)” in Marges urbaines et néolibéralisme en Méditerranée a cura di B. Florin, O. Legros, N. Semmoud, F. Troin, PUFR Presses Universitaires François Rabelais - Tours.
Un quartiere normale
Abbiamo detto che Sant’Elia può essere considerato come uno spazio di extraterritorialità fondato sulle separazioni fisiche, sociali e simboliche alle quali sommare i codici sociali, le pratiche spaziali e le rappresentazioni comunitarie che in maniera superficiale hanno definito suoi abitanti come “brutti, sporchi e cattivi”, per riprendere l’espressione assai nota del titolo del film di Ettore Scola (1976). In termini interpretativi, il quartiere può essere un “contro-luogo”, una eterotopia che esplicita la “messa al margine” della città rappresentandone il “negativo” urbano (Foucault M., (1994), Eterotopia. Luoghi e non-luoghi metropolitani, Milano, Mimesis). Eppure, una volta entrati, accolti nel quartiere, evidente appare il quotidiano nella sua normalità che contrasta (fragorosamente) con la vacuità dei discorsi diffusi e facili che ne dipingono gli abitanti come perennemente al limite del lecito, conduttori del sovvertimento delle pratiche sociali e economiche ordinarie. Ogni momento della storia del quartiere (fondazione, strutturazione, estensione, riqualificazione, ecc.) è accompagnato da discussioni più o meno conflittuali sulla maniera di risolvere i problemi che, altrettanto usualmente, si concludono con la decisione di intervenirvi con operazioni di “urbanistica positiva” (in altri termini, di aggiungervi alloggi, abitanti, servizi, funzioni, ecc.). In fondo, si tratta del perenne dibattito fra l’idea di trattare lo spazio sociale come un “caso” isolato ed eccezionale, una “città” nella città, abitato e vissuto come tale da una comunità “altra”; e la possibilità di trattarlo come uno spazio sociale incluso nel “progetto della città” o, meglio, dell’agglomerazione metropolitana.
Questo testo riassume e riprende molte considerazioni inserite nell’articolo di Memoli M., Cattedra R. (2014), “Un contre-lieu d'urbanité marginale. L'exemple du quartier de Sant'Elia (Cagliari)", in Semmoud N., Florin B., Legros O., Troin F., Marges urbaines et néolibéralisme en Méditerranée, Tours, PUFR, pp. 125-144.
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STORIA DELLA CHIESA PARROCCHIALE
La parrocchia fu eretta da Mons. Paolo Botto il 1 gennaio 1953; fu riconosciuta civilmente il 23 settembre 1955.
La chiesa venne consacrata da Mons. Paolo Botto il 29 giugno 1968. Anticamente nel Borgo S. Elia esisteva un convento di Carmelitani, ora del tutto distrutto. (da “Un secolo in canonica”, di mons. Giovanni Marras).
ELENCO DEI PARROCI
Fabiano p. Saverio omi dal 2021
Faedda don Giacomo dal 2016 al 2021
Zara don Giampiero dal 2014 al 2016
Corgiolu don Paolo dal 2010 al 2013
Lai mons. Marco dal 1998 al 2010
Palmas mons. Guido dal 1988 al 1998
Paradisi mons. Vasco dal 1970 al 1988
Aramu mons. Giuseppe dal 1952 al 1970
MISSIONARI OBLATI DI MARIA IMMACOLATA
Il Fondatore:
Sant’Eugenio de Mazenod
Sant’Eugenio de Mazenod
Eugenio de Mazenod nasce in Francia ad Aix en Provence nel 1782.
Figlio di aristocratici, con l’inizio della rivoluzione francese è costretto a fuggire in Italia, dove resterà in esilio con suo padre fino all’età di 20 anni. Tornato in patria cerca invano di sistemarsi attraverso una carriera militare e un matrimonio di convenienza, ma entrambe le strade si rivelano impraticabili.
È così che in un momento di crisi esistenziale per la sua vita, all’incirca nel 1807, durante un venerdì santo, si sente profondamente amato da Dio che ridà un senso alla sua vita. Decide così di diventare sacerdote e, nel 1812, dopo l’ordinazione chiede di dedicare il suo ministero in favore dei giovani, dei carcerati e degli abitanti delle campagne.
Dopo aver contratto il tifo in carcere rischiando di morire, comprende che la sua intuizione di lavorare per i più poveri e abbandonati non può essere portata avanti da solo. Raduna così alcuni sacerdoti con il suo stesso spirito e fonda la prima comunità dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, con l’obiettivo di lavorare insieme per i più abbandonati, anche attraverso le missioni popolari nelle campagne.
La Congregazione, poi approvata dal Papa nel 1826, cresce e si diffonde in tutto il mondo. Vengono inviati missionari in Canada, Oregon, Sri Lanka ,Texas, per rispondere sempre alle necessità della Chiesa abbandonata.
Eugenio diventa vescovo di Marsiglia nel 1832. Muore il 21 maggio 1861. Viene canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1995.
Il carisma
Siamo una famiglia religiosa, fondata da Sant’Eugenio de Mazenod nel 1816. Oggi siamo poco meno di 4000, sparsi in 70 nazioni del mondo.
Siamo missionari, perchè vogliamo dire a tutti che Cristo è il centro della nostra vita ed è speranza di salvezza e di risurrezione per ogni uomo. Ma non solo!
Formiamo anche una famiglia più grande, insieme a migliaia di laici, giovani e adulti, che in tutto il mondo condividono con noi la nostra missione.
Il nostro carisma è comunione ed evangelizzazione, perchè sappiamo che la carità, l’amore tra noi, è il fondamento e la linfa che ci apre a tutti e ci dà la passione per l’annuncio del Vangelo.
Ci stanno a cuore i poveri!
“Mi ha mandato ad evangelizzare i poveri” è il motto che ci guida. Siamo inviati a coloro che non sono raggiunti dal messaggio di speranza del Vangelo. Gli ultimi, i più abbandonati, i poveri dai molteplici volti, che chiedono speranza e salvezza: a loro è rivolta la nostra missione. Evangelizzare i poveri per noi significa fargli scoprire e sperimentare la loro dignità, nel modo in cui Sant’Eugenio de Mazenod ha capito di dover fare con la gente del suo tempo:
“In questo santo tempo ci saranno molte istruzioni per i ricchi, per coloro che hanno ricevuto un’educazione. Non ce ne saranno per i poveri e gli ignoranti? Però il Vangelo deve essere insegnato a tutti e deve essere insegnato in modo da essere capito. Venite soprattutto voi, poveri di Gesù Cristo. Artigiani, cosa siete per il mondo? Una classe di persone costrette a passare la loro vita nell’esercizio faticoso di un oscuro lavoro, che vi mette alle dipendenze dei vostri datori di lavoro. Domestici, chi siete per il mondo? Una classe di schiavi di coloro che vi pagano, esposti al disprezzo, all’ingiustizia e, spesso, anche ai cattivi trattamenti di padroni esigenti che credono di poter comprare il diritto di essere ingiusti con voi con il misero salario che vi danno. E voi contadini, cosa siete per il mondo? Per quanto sia utile il vostro lavoro siete valutati solo per le vostre braccia e se si tiene conto, a malincuore, dei vostri sudori è perchè fecondano la terra e la irrigano.Ecco ciò che pensa il mondo, ecco cosa siete ai suoi occhi! Venite adesso ad imparare da noi cosa siete agli occhi della fede. Poveri di Gesù Cristo, afflitti, disgraziati, sofferenti, voi tutti oppressi dalla miseria, fratelli miei, miei cari fratelli, miei rispettabili fratelli: ascoltatemi! Voi siete i figli di Dio, i fratelli di Gesù Cristo, i coeredi del suo Regno eterno, la porzione scelta della sua eredità; voi siete, come dice San Pietro, la nazione santa, voi siete re, voi siete sacerdoti, voi siete, in qualche modo, dei. Dentro di voi c’è un’anima immortale creata a immagine di Dio, Dio che un giorno è destinata a possedere; un’anima acquistata a prezzo del sangue di Gesù Cristo, più preziosa, davanti a Dio, di tutte le ricchezze della terra, di tutti i regni del mondo“.
(Dagli appunti di Eugenio de Mazenod per le prediche del 1813 alla chiesa della Maddalena di Aix en Provence)
La predicazione delle missioni popolari fu il primo ministero degli Oblati. Ancora oggi, esse rimangono un punto saldo della nostra attività. Ma non solo! L’evangelizzazione dei giovani è una delle nostre priorità e ci impegniamo a rispondere a bisogni e urgenze della Chiesa e dei poveri in vari altri campi. I poveri più poveri: carcerati, immigrati, tossicodipendenti, fin dall’inizio sono i nostri preferiti. Il ministero parrocchiale non ci è estraneo e ci permette di infondere lo spirito missionario alle comunità che serviamo. Promuoviamo progetti in tanti paesi in via di sviluppo per l’educazione, la salute, la formazione dei giovani. Alcuni santuari mariani ci vedono impegnati ad accogliere i pellegrini per offrir loro l’esperienza della misericordia “materna” di Dio. Siamo attenti alle culture e alle religioni dei popoli che incontriamo, con spirito di apertura e di dialogo.
Per offerte alla Caritas Intestatario: P.Saverio Fabiano Beneficiario: Caritas parrocchiale.
Causale: interventi Caritas parrocchiale Codice iban: IT57W3608105138285030285047